terça-feira, 26 de maio de 2015

Massime e ricordi di San Filippo Neri


Dal film "State buoni se potete"










“Prophetíæ dono fuit illústris, et in animórum sénsibus penetrándis mirífice enítuit. Virginitátem perpétuo illibátam servávit; idque assecútus est, ut eos qui puritátem cólerent, ex odóre, qui vero secus, ex fœtóre dignósceret. Abséntibus intérdum appáruit, iísque periclitántibus opem tulit. Ægrótos plúrimos et morti próximos sanitáti restítuit. Mórtuum quoque ad vitam revocávit. Cæléstium spirítuum et ipsíus Deíparæ Vírginis frequénter fuit apparitióne dignátus, ac plurimórum ánimas splendóre circumfúsas in cælum conscéndere vidit” (Lect. VI – II Noct.) - SANCTI PHILIPPI NERII, CONFESSORIS

Questo santo sacerdote (+ 1591), che, durante quasi mezzo secolo, esercitò a Roma il ministero apostolico e, in mezzo a leggerezze e corruzioni, divenne l’oracolo dei Pontefici, dei cardinali e dei personaggi più insigni del suo tempo, ha ben meritato dalla Sede apostolica che, fino a questi ultimi anni, la sua festa fosse assimilata alle domeniche nella Città eterna, ed il Pontefice stesso, in corteo di gala, andava a celebrare i divini misteri sul sepolcro del Santo a Santa Maria in Vallicella.
È quasi impossibile parlare brevemente dei meriti di san Filippo e del ruolo importante che ebbe nella riforma ecclesiastica del XVI sec. 
Amico di san Carlo e del cardinale Federico Borromeo, confessore del san Camillo e di sant’Ignazio, padre spirituale del Baronio, confessore di Clemente VIII, si può dire che la sua influenza salutare si distese a tutti i diversi aspetti della riforma, in modo che, quand’anche se si potesse fare astrazione della sua santità, l’attività di san Filippo gli avrebbe meritato senza dubbio un posto di onore nella storia del XVI sec.
Per la fondazione della Congregazione dei Sacerdoti dell’Oratorio, Filippo, in un campo probabilmente molto più ristretto e con le vedute un po’ diverse, si propose anche lo stesso scopo di sant’Ignazio: quello di riportare alla fede religiosa la società cristiana, mediante la frequentazione dei Sacramenti e l’insegnamento del catechismo.
Mentre in Germania i protestanti accusavano la Chiesa cattolica di avere sottratto la Bibbia al popolo, san Filippo ordinava che, nella sua chiesa di San Girolamo, si commentasse l’epistola di san Paolo ai Romani; rispose alle centurie di Magdeburgo imponendo a Baronio di esporre a cinque o sei riprese nelle sue conferenze della sera la storia della chiesa, poi di pubblicare questi studi che riempiono dodici grossi volumi.
L’eresia luterana, coi suoi errori sulla grazia ed il libero arbitro, aveva prosciugato le sorgenti stesse della gioia; san Filippo, mediante le sue serate musicali e poetiche, che presero allora il loro nome di oratorio dal luogo dove il santo li faceva eseguire; per le sue ricreazioni sul Gianicolo, dove, all’ombra di una quercia, si faceva saggiamente bambino coi bambini; per i suoi pellegrinaggi ai sepolcri dei martiri ed alle sette principali chiese della Città eterna, restituì alla vita cattolica la sua vera tonalità, quella che esigeva tanto san Paolo quando scriveva ai suoi fedeli: Gaudete in Domino semper; iterum dico: gaudete.
Molto penitente e duro con se stesso, Filippo era dolce con gli altri ed, all’occorrenza, anche burlesco, anticipando nella pratica ciò che, qualche tempo più tardi, doveva insegnare san Francesco di Sales, vale a dire che un santo triste è un triste santo. Quando vi era l’occasione, san Filippo sapeva risuscitare anche i morti, ascoltare la loro confessione, chiacchierare con essi, e, a loro domanda, renderli, con un segno di croce, all’eternità. Ed affinché la novità di tali prodigi non gli conciliasse l’ammirazione del popolo, amava comportarsi in modo da rendersi disprezzabile e farsi passare per insensato; è così che, ad es., il giorno della festa di san Pietro in Vincoli, si mise a danzare davanti alla basilica che aveva questo nome.
All’offerta della porpora cardinalizia, che gli era stata fatta tante volte dai papi, Filippo oppose sempre un rifiuto senza replica; egli seppe ispirare sì felicemente a quello stesso spirito di umiltà i suoi discepoli, specialmente il Tarugi ed il Baronio, che, quando quest’ultimo fu creato cardinale del titolo dei Santi Nereo ed Achilleo dal papa Clemente VIII del quale era confessore, si dovette spogliarlo con la forza dei suoi vecchi vestiti di oratoriano, nella stessa sagrestia della Vallicella, per rivestirlo, suo malgrado, della tonaca rossa e del rocchetto, secondo gli ordini del Pontefice.
Morto a Roma il 26 maggio 1595, giorno del Corpus Domini, fu canonizzato da Gregorio XV nel 1622 ed iscritto nel calendario romano nel 1625 da Urbano VIII come festa semidoppiaad libitum. Lo stesso papa ne introdusse l’ufficio nel Breviario romano. Alessandro VII elevò la sua festa al rango di semidoppia di precetto nel 1657 e Clemente XI l’elevò a rito doppio nel 1669. Alessandro VIII dotò la festa di una messa propria nel 1690.
La messa ha certe parti proprie, ma quest’eccezione fu fatta a proposito, per introdurre, per colui che aveva tanto e ben meritato della santa liturgia e che, nell’incendio del divino amore che liquefaceva il suo cuore, aveva costume di impiegare tre ore a celebrare i divini Misteri.
L’Introito è lo stesso del sabato dopo la Pentecoste; contiene un’allusione evidente al prodigio verificatosi, nel 1544, nel cimitero ad Catacumbas, mentre Filippo, pregando durante la notte in queste cripte dei martiri, lo Spirito Santo scese su lui. Da allora, il cuore arroventato del Santo cominciò a battere così fortemente per Dio che molte delle sue costole si sollevarono e si arcuarono.
Il versetto alleluiatico torna sul miracolo del cimitero ad Catacumbas.
Pure l’antifona dell’offertorio torna sul fenomeno della dilatazione e della curvatura delle costole di san Filippo, conseguenza dei violenti battiti del suo cuore. Per questa dilatazione del cuore di cui parla il Salmista, bisogna intendere questo: ciò che si trova difficile all’inizio, nella vita spirituale, lo si fa poi senza pena, ed anche con un’inesprimibile gioia, grazie alla buona abitudine contratta, ed alla divina carità sparsa nell’anima dallo Spirito Santo. Difatti, è nella natura dell’amore di lavorare, di sacrificarsi, senza stancarsi mai.
Una sentenza di san Filippo è memorabile tra tutte: mettendo due dita sulla fronte dei suoi discepoli, diceva che la santità è tutta compresa in questo piccolo spazio, perché tutto consiste nel mortificare la ragione.

Giovanni Francesco Barbieri, detto il Guercino, S. Filippo Neri, 1656, Museo di Stato, San Marino


Guido Reni, Visione di S. Filippo Neri, 1614, Cappella di S. Filippo Neri, Chiesa Nuova (Basilica di S. Maria in Vallicella), Roma

Carlo Maratta, La Vergine appare a S. Filippo, 1675, Palazzo Pitti, Firenze

Giuseppe Passeri, Visione di S. Filippo, 1700 circa, Fitzwilliam Museum, Cambridge

Gaetano Lapis, S. Filippo Neri e l'angelo, 1745, chiesa di S. Nicola, Scheggino

Gaetano Lapis, Estasi di S. Filippo Neri, 1754

Liberale Cozza, San Filippo Neri invita i fanciulli a venerare la Madonna, 1811, chiesa di S. Giacomo, Brescia

Ambito pesarese, S. Filippo Neri, XIX sec., museo diocesano, Pesaro

Joan Llimona, S. Filippo Neri durante la consacrazione della Messa, 1902, chiesa di San Felipe Neri, Barcellona


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Massime e ricordi di San Filippo Neri Uno dei massimi storici dell'Oratorio, il compianto padre Antonio Cistellini, d.O. di Firenze, scriveva che «sfortunatamente il biografo e l'agiografo potranno scarsamente giovarsi di suoi scritti [di san Filippo], come invece è accaduto per altri grandi: s. Ignazio, s. Carlo Borromeo, s. Francesco di Sales ad esempio. Filippo non fu un santo scrittore, e lui stesso confessò la quasi invincibile ritrosia a prender la penna in mano (oltre che a parlare di se stesso: Secretum meum mihi...)». Di san Filippo oggi abbiamo una trentina di lettere, alcuni scritti occasionali e tre sonetti, di cui due sono di dubbia attribuzione ma, senza togliere alcun valore spirituale e storico a questi importanti documenti, sono le sue massime e ricordi ad essere diventate, per così dire, le portavoci di san Filippo e dell'essenza della spiritualità oratoriana. Raccolte da testimonianze dirette dei suoi primi discepoli durante conversazioni e discorsi, le massime e i ricordi di san Filippo compensano l'esiguità dei suoi scritti e portano il lettore a comprendere meglio l'origine e i fondamenti dell'Oratorio. Le più antiche serie apparvero al processo di canonizzazione durante la seduta del 23 gennaio 1596 quando si recò a testimoniare padre Francesco Zazzara - che, assieme ai Padri Pompeo Pateri e Giuliano Giustiniani, ha curato una ricca raccolta di massime filippiane (Archivio dell'Oratorio di Roma, A.III.9) - e ancora nelle sedute del 18 aprile e del 13 maggio dello stesso anno, quando si recarono a deporre il cardinale Pietro Paolo Crescenzi e il prelato Marco Antonio Maffa. * * * L'amore di Dio - Chi vuole altra cosa che non sia Cristo, non sa quello che si voglia. Chi dimanda altra cosa che non sia Cristo, non sa quello che dimanda. Chi opera e non per Cristo, non sa quello che si faccia. - L'anima che si dà tutta a Dio, è tutta di Dio. - Quanto amore si pone nelle creature, tanto se ne toglie a Dio. 2 - All'acquisto dell'amor di Dio non c'è più vera e più breve strada che staccarsi dall'amore delle cose del mondo ancor piccole e di poco momento e dall'amor di se stesso, amando in noi più il volere e servizio di Dio, che la nostra soddisfazione e volere. - Come mai è possibile che un uomo il quale crede in Dio, possa amare altra cosa che Dio? - La grandezza dell'amor di Dio si riconosce dalla grandezza del desiderio che l'uomo ha di patire per amor suo. - A chi veramente ama Dio non può avvenire cosa di più gran dispiacere quanto non aver occasione di patire per Lui. - Ad uno il quale ama veramente il Signore non è cosa più grave, né più molesta quanto la vita. - I veri servi di Dio hanno la vita in pazienza e la morte in desiderio. - Un'anima veramente innamorata di Dio viene a tale che bisogna che dica: Signore, lasciatemi dormire: Signore, lasciatemi stare. Presenza in Dio e confidenza in Lui - Spesso esortava i suoi figli spirituali che pensassero di aver sempre Dio davanti agli occhi. - Chi non sale spesso in vita col pensiero in Cielo, pericola grandemente di non salirvi dopo morte. - Paradiso! Paradiso! era il grido col quale calpestava ogni grandezza umana. - Buttatevi in Dio, buttatevi in Dio, e sappiate che se vorrà qualche cosa da voi, vi farà buoni in tutto quello in cui vorrà adoperarvi. - Bisogna avere grande fiducia in Dio, il quale è quello che è stato sempre: e non bisogna sgomentarsi per cosa accada in contrario. La volontà di Dio - Io non voglio altro se non la tua santissima volontà, o Gesù mio. - Quando l'anima sta rassegnata nelle mani di Dio, e si contenta del divino beneplacito, sta in buone mani, ed è molto sicura che le abbia ad intervenire bene. - Ognuno vorrebbe stare sul monte Tabor a vedere Cristo trasfigurato: accompagnar Cristo sul monte Calvario pochi vorrebbero. - E' ottimo rimedio, nel tempo delle tribolazioni e aridità di spirito, l'immaginarsi di essere come un mendico, alla presenza di Dio e dei Santi, e come tale andare ora da questo Santo, ora da quell'altro a domandar loro elemosina spirituale, con quell'affetto e verità onde sogliono domandarla i poveri. E ciò si faccia alle volte 3 corporalmente, andando ora alla Chiesa di questo Santo, ed ora alla Chiesa di quell'altro a domandar questa santa elemosina. - Al P. Antonio Gallonio, fortemente tormentato da una interna tribolazione, S. Filippo diceva: Abbia pazienza, Antonio: questa è la volontà di Dio. Abbi pazienza, sta saldo; questo è il tuo Purgatorio. - A chi si lamentava di certe prove diceva: Non sei degno, non sei degno che il Signore ti visiti. - Quietati che Dio la vuole, disse una volta ad una mamma a cui moriva una piccola figlia, e ti basta essere stata balia di Dio. Desiderio di Perfezione - Non è tempo di dormire, perché il Paradiso non è fatto pei poltroni. - Bisogna desiderare di far cose grandi per servizio di Dio, e non accontentarsi di una bontà mediocre, ma aver desiderio (se fosse possibile) di passare in santità ed in amore anche S. Pietro e S. Paolo: la qual cosa, benché l'uomo non sia per conseguire, si deve con tutto ciò desiderare, per fare almeno col desiderio quello che non possiamo colle opere. - Non è superbia il desiderare di passare in santità qualsivoglia Santo: perché il desiderare d'essere santo è desiderio di voler amare ed onorare Dio sopra tutte le cose: e questo desiderio, se si potesse, si dovrebbe stendere in infinito, perché Dio è degno d'infinito onore. - La santità sta tutta in tre dita di spazio, e si toccava la fronte, cioè nel mortificare la razionale, contrastando cioè a se stesso, all'amore proprio, al proprio giudizio. - La perfezione non consiste nelle cose esteriori, come in piangere ed altre cose simili, e le lacrime non sono segno che l'uomo sia in grazia di Dio. - Parlando il Santo di spirito e della perfezione diceva: Ubbidienza, Umiltà, Distacco! La Preghiera - L'uomo che non fa orazione è un animale senza ragione. - Il nemico della nostra salute di nessuna cosa più si contrista, e nessuna cosa cerca più impedire che l'orazione. - Non vi è cosa migliore per l'uomo che l'orazione, e senza di essa non si può durar molto nella vita dello spirito. - Per fare buona orazione deve l'anima prima profondissimamente umiliarsi e conoscersi indegna di stare innanzi a tanta maestà, qual è la maestà di Dio, e mostrare a Dio il suo bisogno e la sua impotenza, ed umiliata gettarsi in Dio, che Dio le insegnerà a fare orazione. 4 - La vera preparazione all'orazione è l'esercitarsi nella mortificazione: perché il volersi dare alla orazione senza questa è come se un uccello avesse voluto incominciar a volare prima di metter le penne. - Ai giovani diceva: Non vi caricate di troppe devozioni, ma intraprendetene poche, e perseverate in esse. Non tante devozioni, ma tanta devozione. L'Umiltà - Figliuoli, siate umili, state bassi: siate umili, state bassi. - Umiliate voi stessi sempre, e abbassatevi negli occhi vostri e degli altri, acciò possiate diventar grandi negli occhi di Dio. - Dio sempre ha ricercato nei cuori degli uomini lo spirito d'umiltà, e un sentir basso di sè. Non vi è cosa che più dispiaccia a Dio che l'essere gonfiato della propria stima. - Non basta solamente onorare i superiori, ma ancora si devono onorare gli eguali e gli inferiori, e cercare di essere il primo ad onorare. - Per fuggire ogni pericolo di vanagloria voleva il Santo che alcune devozioni particolari si facessero in camera, ed esortava che si fuggisse ogni singolarità. A proposito della vanagloria diceva: Vi sono tre sorta di vanagloria. La prima è Padrona e si ha quando questa va innanzi all'opera e l'opera si fa per il fine della vanagloria. La seconda è la Compagna e si ha quando l'uomo non fa l'opera per fine di vanagloria, ma nel farla sente compiacenza. La terza è Serva e si ha quando nel far l'opera sorge la vanagloria, ma la persona subito la reprime. - Per acquistare il dono dell'umiltà sono necessarie quattro cose: spernere mundum, spernere nullum, spernere seipsum, spernere se sperni: cioè disprezzare il mondo, non disprezzare alcuno, disprezzare se stesso, non far conto d'essere disprezzato. E soggiungeva, rispetto all'ultimo grado: A questo non sono arrivato: a questo vorrei arrivare. - Fuggiva con tutta la forza ogni sorta di dignità: Figliuoli miei, prendete in bene le mie parole, piuttosto pregherei Iddio che mi mandasse la morte, anzi una saetta, che il pensiero di simili dignità. Desidero bene lo spirito e la virtù dei Cardinali e dei Papi, ma non già le grandezze loro. La Mortificazione - Figliuoli, umiliate la mente, soggettate il giudizio. - Tutta l'importanza della vita cristiana consiste nel mortificare la razionale. - Molto più giova mortificare una propria passione per piccola che sia, che molte astinenze, digiuni e discipline. - Quando gli capitava qualche persona che avesse fama di santità, era solito provarla con mortificazioni spirituali e se la trovava mortificata e umile, ne teneva conto, altrimenti l'aveva per sospetta, dicendo: Ove non è gran mortificazione, non può esservi gran santità. 5 - Le mortificazioni esteriori aiutano grandemente all'acquisto della mortificazione interiore e delle altre virtù. L'Obbedienza - L'obbedienza buona è quando si ubbidisce senza discorso e si tiene per certo quello che è comandato è la miglior cosa che si possa fare. - L'obbedienza è il vero olocausto che si sacrifica a Dio sull'altare del nostro cuore, e bisogna sforzarci d'obbedire anche nelle cose piccole, e che paiono di niun momento, poiché in questo modo la persona si rende facile ad essere obbediente nelle cose maggiori. - E' meglio obbedire al sagrestano e al portinaio quando chiamano, che starsene in camera a fare orazione. - A proposito di colui che comandava diceva: Chi vuol esser obbedito assai, comandi poco. La Gioia Cristiana - Figliuoli, state allegri, state allegri. Voglio che non facciate peccati, ma che siate allegri. - Non voglio scrupoli, non voglio malinconie. Scrupoli e malinconie, lontani da casa mia. - L'allegrezza cristiana interiore è un dono di Dio, derivato dalla buona coscienza, mercé il disprezzo delle cose terrene, unito con la contemplazione delle celesti...Si oppone alla nostra allegrezza il peccato; anzi, chi è servo del peccato non può neanche assaporarla: le si oppone principalmente l'ambizione: le è nemico il senso, e molto altresì la vanità e la detrazione. La nostra allegrezza corre gran pericolo e spesso si perde col trattare cose mondane, col consorzio degli ambiziosi, col diletto degli spettacoli. - Ai giovani che facevano chiasso, a proposito di coloro che si lamentavano, diceva: Lasciateli, miei cari, brontolare quanto vogliono. Voi seguitate il fatto vostro, e state allegramente, perché altro non voglio da voi se non che non facciate peccati. E quando doveva frenare l'irrequietezza dei ragazzi diceva: State fermi, e, sotto voce, se potete. La Devozione a Maria - Figliuoli miei, siate devoti della Madonna: siate devoti a Maria. - Sappiate, figliuoli, e credete a me, che lo so: non vi è mezzo più potente ad ottenere le grazie da Dio che la Madonna Santissima. - Chiamava Maria il mio amore, la mia consolazione, la mamma mia. 6 - La Madonna Santissima ama coloro che la chiamano Vergine e Madre di Dio, e che nominano innanzi a Lei il nome santissimo di Gesù, il quale ha forza d'intenerire il cuore. La Confessione - La confessione frequente de' peccati è cagione di gran bene all'anima nostra, perché la purifica, la risana e la ferma nel servizio di Dio. - Nel confessarsi l'uomo si accusi prima de' peccati più gravi e de' quali ha maggior vergogna: perché così si viene a confondere più il demonio e cavar maggior frutto dalla confessione. La Tentazione - Le tentazioni del demonio, spirito superbissimo e tenebroso, non si vincono meglio che con l'umiltà del cuore, e col manifestare semplicemente e chiaramente senza coperta i peccati e le tentazioni al confessore. - Contro le tentazioni di fede invitava a dire: credo, credo, oppure che si recitasse il Credo. - La vera custodia della castità è l'umiltà: e però quando si sente la caduta di qualcuno, bisogna muoversi a compassione, e non a sdegno: perché il non aver pietà in simili casi, è segno manifesto di dover prestamente cadere. - Ai giovani dava cinque brevi ricordi: fuggire le cattive compagnie, non nutrire delicatamente il corpo, aborrire l'ozio, fare orazione, frequentare i Sacramenti spesso, e particolarmente la Confessione. Giaculatorie Padre Zazzara diceva che il Santo lodava molto le giaculatorie, ed in diversi tempi dell'anno gliele insegnava e ne faceva dire ogni giorno quando una, quando un'altra. - Per tenere vivo il pensiero della divina presenza ed eccitare la confidenza in Dio sono utilissime alcune orazioni brevi e quelle spesse volte lanciare verso il cielo tra il giorno, alzando la mente a Dio da questo fango del mondo: e chi le usa, ne ricaverà frutto incredibile con poca fatica. * * * Bibliografia Congregazione dell'Oratorio di Vicenza (a cura di), Lo spirito di Filippo Neri nelle sue massime e ricordi, Vicenza, 1988 San Filippo Neri, Gli scritti e le massime (a cura di Antonio Cistellini), Editrice La Scuola, Brescia, 1994 San Filippo Neri, «Chi cerca altro che Cristo…»: Massime e ri

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